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Un nuovo luogo per l’uomo

La fotografia deve, a differenza delle altre forme di rappresentazione, la sua esistenza alla stessa fisicità del reale, mezzo fondamentale per la lettura delle complesse relazioni che danno forma alla realtà.

Oggi il paesaggio è fortemente mutato dall’uomo.

Il paesaggio antropico ha sostituito il paesaggio naturale, sempre più difficile da trovare nella nostra società. La fotografia può studiare questi mutamenti in due modi, il primo è un’analisi neutra che rappresenta come sgradevole e sconnesso un paesaggio che al giorno d’oggi lo è, il secondo invece si sforza verso una rifondazione estetica del paesaggio. In tutti e due i casi la fotografia compie un gesto di pietà verso un soggetto oggi esteticamente sofferente. Sia esso mutato dall’uomo e per l’uomo, sia esso mutato e svuotato della sua funzione. Come scrive Marc Augé1 cercando di descrivere questi nuovi luoghi per l’uomo:

“[…] cosa sono i nonluoghi sono degli spazi o dei luoghi in contrapposizione ai luoghi antropologici, quindi tutti quegli spazi che hanno la prerogativa di non essere identitari, relazionali e storici. Fanno parte dei nonluoghi sia le strutture necessarie per la circolazione accelerata delle persone e dei beni come le autostrade e gli aeroporti, sia i mezzi di trasporto, i grandi centri commerciali, gli outlet, i campi profughi, le sale d’aspetto, ecc… Spazi in cui milioni di individualità si incrociano senza entrare in relazione, sospinti o dal desiderio frenetico di consumare o di accelerare le operazioni quotidiane o come porta di accesso a un cambiamento reale o simbolico. I nonluoghi sono prodotti della società della surmodernità, incapace di integrare in sé i luoghi storici confinandoli e banalizzandoli in posizioni limitate e circoscritte.”

E’, infatti, nella “non-città” inglobante e ramificata, che per Augé sono disseminati, indicati, segnalati e paradossalmente deviati i frammenti sparsi della città storica, in un viaggio obbligato che salda illusoriamente paesaggio e memoria attraverso un montaggio accelerato d’istantanee fuggevoli. Quello che si chiedeva ieri, di fissare la bellezza naturale del paesaggio o di documentare attraverso la fotografia, una realtà minacciata da cambiamenti incontrollabili, è adesso superato dalla chiara volontà di tentare di fotografare il mutamento stesso, di coglierne cioè attraverso le trasformazioni, le ragioni, l’essenza, la direzione.

Il paesaggio non è solo una veduta, ma è anche e soprattutto espressione di una storia, di una popolazione, di una cultura cosciente di tutti quei fattori di tipo evocativo che spingono l’uomo ad impadronirsene e farlo proprio. La multidimensionalità del paesaggio è quindi evoluzione da pura naturalità a sedimentazione del processo storico. Le interpretazioni del paesaggio da parte anche della fotografia, convergono nel sottolineare l’ineluttabile convergenza del mutamento fisico e del divenire sociale.2

Andare, quindi, verso una lettura organica del paesaggio.

Così come il paesaggio, anche la città muta in funzione dell’uomo.

Come dice Bruno Zervi 3, si tratta di “ riunificare i concetti di landscape (paesaggio naturale), townscape ( paesaggio urbano), cheapscape (paesaggio dei rifiuti) e un inscape (paesaggio interiore)”.

Luoghi con funzioni specifiche, privi dell’uomo, diventano dei non luoghi, degli spazi deserti e silenziosi. Nelle fotografie si ha quindi un paesaggio naturale che vede la presenza dell’uomo, ora come semplice fruitore, poi come diretto autore che lo modifica secondo le proprie esigenze.

Alla fotografia si chiede di più: non solo documentazione ma “rivelazione”.

“(…) trovare in questo universo le immagini geniali, quelle che potessero rivelare l’ordine che sovrintende a questo universo multiforme” 4

Si ha anche una città silenziosa, che è stata creata, modificata dai suoi abitanti ma che senza la presenza dell’uomo perde quasi la sua funzione restando in una silenziosa attesa.

La fotografia ha il compito di testimoniare questi equilibri. Il fotografo, come diceva Stendhal del romanziere, è solo un viandante che attraversa uno spazio con uno specchio e non è perciò responsabile di quello che lo specchio riflette; egli è un testimone neutrale ma non indifferente.

Note:

  1. Marc Augé, Non Luoghi, introduzione a una antropologia della surmodernità, Edizioni Elèuthera, 1993, Milano;
  2. Giuseppe Roma, Le identità sociali nascoste nel paesaggio, in Atlante Italiano 007, Electa, 2007, Milano;
  3. Bruno Zervi, La città territorio wrightiana (1991), in Frank Lloyd Wright, La città vivente, Einaudi, 2000, Torino;
  4. Giovanni Chiaramonte conversazione con C. Provenzani, Rivelazione intima di una esperienza senza tempo, in Firenze Architettura 1.2012, 2012, Firenze;
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