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Dal Monte Pellegrino a Palermo

 

Faro naturale per chi a Palermo arriva e a Palermo vive è il monte Pellegrino.
La luce sulle sue pareti di granito, al tramonto diventa rossa, sembra quasi brillare.
E’ l’elemento che più facilmente distingue Palermo, un monte che da sempre attira a se attenzioni, diventando meta, soggetto di romanzi, ispirazione per gli artisti.
Un monte che dall’alto guarda la luce divina che illumina la città e la Conca d’oro, spettatore non protagonista della vita pulsante dei palermitani e delle loro contraddizioni. Sta li come una presenza immobile che guarda in silenzio la città. Dagli stretti vicoli come dall’autostrada, dal porto come dai paesi vicini, la sua particolare sagoma è segno inconfondibile e caratterizzante dello skyline di Palermo.
Il Monte Pellegrino fu definito da Johann Wolfgang von Goethe come il più bel promontorio del mondo perché si riscontrava in quei magici contrasti, in quella maestosità e nella dolcezza, il concetto di sublime tanto amato nel romanticismo.

“[…]Sopra la città, per l’ora in cui eravamo, il sole gettava tutti i suoi raggi, in modo che le ombre tenui delle facciate delle case ci stavano di fronte, rischiarate dal riflesso. A destra il Monte Pellegrino, con le sue forme graziose in piena luce…il più bel promontorio del mondo.”

Il Monte Pellegrino oltre alla sua importanza naturalistica, ha anche un fortissimo significato simbolico. La salita in cima al Monte, che si concretizza a Palermo con la tradizionale “acchianata” del 4 settembre di ogni anno è un tributo alla amata Patrona, ma è anche il purificarsi e il riappropriarsi del personale rapporto tra l’uomo e la divinità.In parecchie culture infatti la montagna ripropone con la sua “verticalità”, quell’Axis Mundi che simboleggia l’asse centrale del mondo, l’asse cosmico che ha la sua base al centro della Terra e il suo termine nel Cielo.
L’unione tra il buio terreno dell’uomo e la luce di Dio.
Il monte è l’elemento che più facilmente distingue Palermo, il perno che da sempre attira a se. E’ il simbolo, l’unione, il soggetto attore di una città che ha bisogno di sorgere dalle rovine e splendere di quella nuova luce capace di riportare la vita oltre la morte.
E si ritorna ancora alla luce, alle origini, al tema sotteso di questo racconto fotografico sulla città di Palermo.
Alla base della fotografia c’è sempre la luce. Compito del fotografo contemporaneo è di svelare la realtà che si cela oltre e tra le pieghe della luce stessa. La luce a Palermo è forte, calda, spietata, punta la realtà di una città in rovina, sotto cui giacciono i monumenti stanchi, glorificando la storia e amplificando l’eco del racconto di questa città. Un tempo una capitale, oggi Palermo è una città senza regno.. Qui il culto della morte è tutt’uno col culto della vita. Tutto il “presente” contenuto in essa si trasforma ironicamente in passato. Parafrasando le parole dell’antropologo Marc Augé potremmo dire che Palermo impersonifica “una promessa di rovina”, ovvero ciò che qui nasce sembra destinato a configurarsi come un sempre già esistito.

In questi luoghi, dove l’immondizia e la rovina la fanno da padrone, è possibile ritrovare la magnificenza di un palazzo del ‘500 o di uno splendido scalone marmoreo del ‘700. Il nulla, solo resti. La surmodernità è ormai dentro il quotidiano. Ecco dunque che gli spazi del vissuto si fondono e confondono nei numerosi piani del reale ponendo i presupposti per i luoghi del contemporaneo, inondando la città delle funzioni vitali.
Nella realtà del mondo d’oggi gli spazi del vivere urbano, i luoghi propriamente detti ed i non luoghi si incastrano si compenetrano reciprocamente.

La forma imponente e monolitica, non trova riscontro della sua forza nel quotidiano. E’ una presenza immobile che guarda in silenzio la vita della città, i Palermitani stessi non sentono loro l’elemento forte del paesaggio se non in rare occasioni, Bisognerebbe invece avere nel simbolo del monte un protagonista attivo di tutta la città.
Il monte ed il suo parco hanno la necessità di essere riportati al loro vero ruolo di simbolo della città, costituendo un “faro” visibile da lontano a 360 gradi.

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