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Quando l’acqua si ritira

Due uomini e una donna, spalano il fango dal cortile della scuola Collodi a Calvaruso.

Sono della protezione civile. Sono volontari. Dopo Giampilieri due anni fa, adesso sono impegnati in queste terre, stessa calamità, stesso bisogno di aiuto, stessa emergenza. Ora come allora i primi ad intervenire. Dal 2006 aspettano un rimborso spese. Comincia a rivedersi il pavimento, sorridono, sono nel fango da giorni, perchè il “turno” non finisce fino a quando c’è qualcosa da fare e quando l’acqua e la terra si ritraggono c’è sempre qualcosa da fare, per molto tempo.

Tre vigili del fuoco spalano il fango da quello che un tempo era il giardino di un’anziana. Era sola in casa quella notte che la terra ha spalancato la sua porta. Ora ringrazia il cielo di vivere vicino ad un bar e che due ragazzi quella notte per caso passavano di là.

I riflettori sono ormai spenti su Calvaruso.

Una signora cammina. Ha due cornici fra le mani, rotte. La casa che ripulisce non è la sua, ma di una sua amica.

La sua è stata ritenuta in una posizione troppo pericolosa, vicino a tutta quella terra che non è stata ancora messa in sicurezza ed è per la sua di sicurezza che ha dovuto preparare i bagagli e trasferirsi in un albergo fuori del paese, dove i muri sembrano più forti e la montagna meno vicina. La sua amica vive a Milano ed è stata una fortuna che non si trovasse lì quella notte. La linea marrone sulle pareti bianche che segna il livello raggiunto dal fango le arriva alla gola. La casa,un tempo bianca, ora è marrone, vuota. Quello che rimane è stato portato in giardino da persone pagate per farlo, perché lì i vigili del fuoco, la protezione civile e i volontari non sono ancora (?) arrivati. Quel che rimane è una “poltiglia” marrone, una massa informe che divora oggetti, mobili, indumenti, tutto.

Un uomo, dalla faccia di chi la terra l’ha coltivata e curata per anni, racconta:

“Ho sentito una donna che urlava quella notte ed ho aperto la porta per correrle in aiuto, ma l’acqua era ovunque e c’era buio, troppo buio. Ho avuto paura di non farcela, ho desistito.”

Due signore sono ferme davanti un cancello, parlano, abitano li vicino.

Una è stata mandata in albergo, l’altra è stata ritenuta al sicuro, anche all’ombra del costone franato. La notte nessuna delle due dorme. La prima pensa a quella che fino alla settimana scorsa era la sua casa e alla quale potrebbe non far ritorno. L’altra sta ferma ad ascoltare i rumori, teme che da un momento all’altro un suono d’acqua possa invadere la sua casa e che la sua vicina sia troppo lontana. Una donna pensa che oggi c’è scirocco e lo scirocco porta la pioggia, e ogni volta che piove viene giù qualcosa ormai.

“ …. Ma la casa pazienza, ancora devo pagarla per i prossimi vent’anni, problemi della banca, io non avrei che darle, ma se piove stanotte non ho chi chiamare, non ho come chiamare, se piove stanotte sono sola, se piove stanotte i telefoni non funzionano”

Se piove stanotte quella duna di terra potrebbe franare, sembra come appesa a un filo di un telefono dal cavo spezzato. Muto.

I riflettori sono ancora accesi a Scarcelli e Saponara.

I carabinieri lasciano passare solo i residenti per non intralciare i lavori.

L’esercito, la protezione civile, i vigili del fuoco, lungo la strada, nella terra, nell’acqua, nel fango. Il letto del fiume ormai pietrificato, la strada crollata, la montagna franata.

La montagna che in piena notte entra in quella casa e, senza chiedere permesso e dare spiegazioni, porta via tutto.

Porta via anche un padre e i suoi figli. La terra simbolo di vita e di morte. Pochi oggetti simbolo di un quotidiano che non ci sarà più.

File di scarpe sporche sui muretti di recinzione.

I riflettori sono accesi a Barcellona Pozzo di Gotto

Una città in cantiere. Tutte le braccia possibili al lavoro. Mascherine per non respirare la terra in polvere alzata dalle pale meccaniche, dai bobcat che, a ritmo serrato, lavorano. Forze dell’ordine, volontari, esercito. Per strada i residui degli scantinati svuotati. I mobili dei negozi sui marciapiedi, il tubo dell’acqua per ripulirli dal fango. Fango fango fango fango, parola ripetuta e abusata che ricopre e marchia i commercianti con troppa merce compromessa e pochi soldi per ricominciare, contando unicamente su loro stessi.

La stessa acqua che da la vita, a volte diventa caos. Ci fa ricordare che la natura sa riprendersi i suoi spazi e quando lo fa, lo fa nel modo più violento, impetuoso, distruttivo. Invade, inonda, spazza via tutto e a noi non resta altro che aspettare che si plachi. E così tutto è diverso quando l’acqua si ritira. (A. Agnello)

 

 

 

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